mercoledì 19 ottobre 2011

Cowboys & Aliens

Continuano i post in cui si parla film ispirati ad opere della letteratura disegnata visti con un gruppetto di irriducibili amici come me appassionati di cinema e fumetti.

Locandina del film

Ispirato all'omonima graphic novel del fondatore della Malibu Comics e dei Platinum Studios Scott Mitchell Rosenberg, prodotto da due colossi come DreamWorks e Universal Pictures, diretto da Jon Favreau, noto al grande pubblico per essere stato l'autore della trasposizione cinematografica del fumetto di supereroi della casa editrice statunitense Marvel Comics “Iron Man” e del suo seguito “Iron Man 2”, “Cowboys & Aliens” è un film che mischia due tra i generi più amati dagli appassionati della settima arte: western e fantascienza.
Quest'opera nella quale scenografie, paesaggi e personaggi propri dei film di registi come John Ford e Sergio Leone convivono con elementi di pellicole fantascientifiche come “Incontri ravvicinati del terzo tipo” e “Alien”, si basa sul presupposto di un'invasione aliena, in una piccola cittadina degli Stati Uniti, non nella nostra era moderna ma bensì nel 1873 e su un gruppo di cowboy e indiani che si uniscono per combatterli.
Protagonista del lungometraggio è Daniel Craig, che interpreta uno smemorato fuorilegge in possesso di un'arma determinante per sconfiggere gli extraterrestri.
Il resto del cast è composto da nomi di grido del panorama hollywoodiano come Harrison Ford accanto a cui figurano attori meno conosciuti ma in forte ascesa come, per citarne solo alcuni, Olivia Wilde e Abigail Spencer.
Nonostante il formidabile manipolo di interpreti e gli sceneggiatori coinvolti nella sua scrittura, tra cui figurano grosse personalità come il creatore di “Lost”, Damon Lindelof e i due veterani del genere fantascientifico Alex Kurtzman e Roberto Orci, questo film, che si basa su un'ottima idea iniziale, manca di mordente.
Gli alieni sono caratterizzati da una violenza decisamente fuori luogo che sconfina nel grottesco, i dialoghi sono piatti e le situazioni prevedibili.
Neanche la musica del veterano Harry Gregson-Williams, la fotografia di Matthew Libathique e gli effetti speciali dell'Industrial Light & Magic, riescono a sollevare le sorti di un prodotto decisamente scontato e pieno di luoghi comuni appartenenti ai generi mostrati.
In conclusione si può affermare che questo film, nonostante tutto piacevole da vedere, sia stato, come sempre più spesso accade a Hollywood, un'occasione sprecata per esplorare una storia nuova e divertente in cui mescolare, in modo creativo e coinvolgente, generi e non solo personaggi e situazioni.

domenica 16 ottobre 2011

Pulp: dalle origini ai giorni nostri…

Il pulp è un genere letterario che propone vicende dai contenuti forti abbondanti di crimini violenti, efferatezze e situazioni macabre.
Con questo articolo si vuole proporre un breve excursus su questa corrente e analizzare le modalità e il contesto storico in cui è fiorita. 

Riviste Pulp
Il genere pulp, a cui ai giorni nostri va tanto di moda riferirsi con poca cognizione di causa, nasce negli Stati Uniti nei primi anni ‘20 del ‘900 con romanzi e racconti lunghi pubblicati a puntate su riviste, le cosiddette Pulp Magazine.
Il nome di queste pubblicazioni, ricordate principalmente per le storie che presentavano, sfacciate, violente e qualche volta oscene e per le loro copertine sexy o raccapriccianti, il cui prezzo variava dai dieci centesimi al quarto di dollaro, deriva dalla carta con cui venivano stampate, ottenuta dalla polpa dell’albero, in inglese pulp, e quindi di qualità più scadente rispetto a quella ottenuta dal resto del tronco.
Le riviste pulp spesso contenevano un’ampia varietà di generi, tra cui il poliziesco, il fantascientifico, il western, l’erotico, l’horror e il noir.
È negli anni ‘30 che il genere conosce il suo apice con riviste storiche come: Weird Tales e The Strand.
Molti romanzi classici della fantascienza e del giallo infatti, dal linguaggio, dalle ambientazioni e dalle trame più crude rispetto a quelli che si leggevano precedentemente, sono stati pubblicati originariamente a puntate su riviste famose di questo periodo come la già citata Weird Tales, Amazing Stories e Black Mask e decine di autori, che oggi sono considerati maestri della letteratura americana, come Howard Phillips Lovecraft, Dashiell Hammett, Clark Ashton Smith, Raymond Chandler e Robert Ervin Howard, hanno cominciato le loro carriere vendendo racconti e romanzi brevi agli editori di queste pubblicazioni.
In Italia questa corrente è stata riscoperta a metà degli anni ‘90 quando un gruppo di giovani scrittori, etichettato con la definizione di “cannibali” per il crudo ed efferato realismo dei loro romanzi, ha rivisitato in chiave contemporanea il genere letterario “pulp”.
Il primo passo di questa riscoperta è la pubblicazione nel 1996 da parte di Einaudi, a cura del saggista ed editor Daniele Brolli, di “Gioventù cannibale”, libro molto riuscito nel panorama della letteratura di genere del bel paese, un’antologia che raccoglie dieci racconti di autori italiani, che esplorano questo genere letterario in maniera molto diversa tra loro, riuscendo, chi più e chi meno, a regalare un quadro piuttosto sconfortante della nostra società.
Tra questi intellettuali spiccano personalità del mondo letterario e della comunicazione come: Niccolò Ammaniti e Luisa Brancaccio, Alda Teodorani, Aldo Nove, Daniele Luttazzi, Andrea G. Pinketts, Massimiliano Governi, Matteo Curtoni, Matteo Galiazzo, Stefano Massaron, Paolo Caredda, la maggior parte dei quali al proprio esordio letterario.
Altri scrittori che per tematiche e linguaggio si possono accostare a questa corrente sono: Giuseppe Caliceti, Enrico Brizzi, Tiziano Scarpa e Isabella Santacroce.
Questi narratori giovani e giovanissimi, sono nati per la maggior parte negli anni ‘60 e ‘70, giocano con la scrittura, sperimentano nuovi codici: frasi corte, scene violente, personaggi dalla psicologia impenetrabile e complessa e situazioni grottesche che sfiorano il limite del verosimile.
Ai modelli letterari, che comunque rimangono prevalentemente americani, adorano Stephen King e Joe Lansdale, vengono preferiti i nuovi media: televisione, fumetti e videogames che questi autori conoscono moto bene ed a cui la loro scrittura si ispira.
Quello che ne viene fuori è una letteratura diversa rispetto alle correnti precedenti per linguaggi e tematiche, un fenomeno sociologico oltre che letterario, perché è dalla società che vengono attinti trame e linguaggi narrativi, che poco hanno a che fare con l’italiano alto.
Anche le citazioni, dove ci sono, vengono ripescate nella cultura popolare, negli spot pubblicitari, nei film, nei cartoni animati e nei videogiochi.
Questo accade perché questi scrittori sono nati, per la maggior parte, verso la fine degli anni ‘60, in pieno boom economico e quindi sotto il segno della televisione e del consumo sfrenato.
Non è un caso dunque che questa generazione di autori utilizzi il linguaggio della pubblicità, il turpiloquio dei talk show televisivi, o le espressione gergali comuni tra le bande di quartiere e che, al posto di descrizioni paesaggistiche evocative, vengano preferiti spazi come cinema, grandi magazzini e centri commerciali.
Da ciò si evince che il genere pulp, definito da molti critici bacchettoni una “moda”, è invece una tendenza della società attuale, che trova sempre più spazi tra diversi generi artistici, pittura, letteratura, musica, cinema, fumetto.
Non sono spazi autonomi, ma comunicanti, che favoriscono l’interazione tra le arti, quasi a sottolineare un’aspirazione alla multimedialità che, nell’epoca dei computer e di internet, sta pian piano cambiando il modo di fruizione dell’opera stessa.
Un’ultima curiosità da mettere in evidenza per chiudere questo breve excursus su questa corrente è che erroneamente oggi si tende a indicare con il termine pulp tutti quelle pellicole che propongono contenuti forti e che abbondano di crimini violenti ed efferatezze, in particolar modo dopo l’uscita nel 1994 del film Pulp Fiction di Quentin Tarantino, anche se in realtà nel mondo del cinema ciò che viene considerato pulp dovrebbe essere chiamato exploitation, essendo il pulp un genere più propriamente letterario. 

lunedì 3 ottobre 2011

Comic Books go to war

Nell'ambito del festival Docartoon, che si è svolto nella cittadina toscana di Pietrasanta dal 24 al 30 settembre, è stato proiettato “Comic Books go to war”.
Questo documentario della durata di poco meno di un'ora, diretto nel 2009 da Mark Daniels, prodotto e distribuito dal gruppo GA&A Productions e vincitore del premio per il miglior reportage alla ventinovesima edizione del FIFA, Festival International du Film sur l'Art, attraverso interviste ad autori come: Joe Sacco, Ted Rall, Patrick Chappette, Keiji Nakazawa, Marjane Satrapi, Joe Kubert, Emmanuel Guibert, Zeina Abirached, Steve Mumford, Greg Cook, David Axe, che hanno raccontato con le loro opere gli orrori della guerra seguendo fonti, appuntando dettagli e ricercando storie come avrebbe fatto un qualunque giornalista, in alcuni casi recandosi personalmente in luoghi come Palestina, Afghanistan, Sarajevo, Hiroshima, in altri raccogliendo dichiarazioni di persone che hanno vissuto quelle esperienze, testimonia la nascita di un nuovo tipo di giornalismo e dimostra come il fumetto sia un mezzo efficacissimo per descrivere non solo le azioni militari che caratterizzano i grandi conflitti ma anche fatti che riguardano civili e realtà urbane che i mezzi di informazione classici non mettono quasi mai in risalto.
Attraverso parole e disegni vengono narrate non solo le storie dei vincitori, che mostrano una verità distorta e una realtà deviante, ma anche vicende attraverso le esperienze di chi le subisce, attraverso gli occhi dei veri protagonisti.
Gli autori così riescono a comunicare in modo molto esplicito ai lettori l'atrocità dei conflitti e, attraverso il medium fumetto, a raccontare la guerra in modo molto distaccato.
Grazie alla rielaborazione degli eventi che devono attuare in un secondo tempo per realizzare disegni e scrivere le poche parole delle tavole che compongono le loro opere, la narrazione presente in questi volumi è infatti quanto più obiettiva e scevra da emozioni forti possibile.
Un altro pregio dei reportage per immagini disegnate è quello di essere, grazie a un mezzo che dà l’opportunità di entrare nella storia e soffermarsi sulle immagini, sui disegni e capire le vicende grazie a questi ultimi e alle poche parole inserite nelle tavole, accessibili a giovani e giovanissimi che altrimenti avrebbero più difficoltà a conoscere realtà spesso scomode, lontane e riprovevoli.
In conclusione si può affermare che il fumettista, che diventa narratore di eventi offrendo sia il punto di vista del reporter che quello dei protagonisti delle vicende narrate, riesce a differenza di qualsiasi altro giornalista a “raccontare una grande storia in una piccola storia”.