domenica 15 dicembre 2013

Crimini e misfatti


L'universo è indifferente non solo verso il malvagio, ma non si cura nemmeno della felicità del buono.
Siamo esseri assolutamente soli.
Questo sembra volerci suggerire Woody Allen nel film “Crimini e misfatti” commedia agrodolce, da lui scritta e diretta nel 1989 e ritenuta dalla critica uno dei film più complessi e pregnanti della sua carriera, che affronta temi complicati quali l'omicidio, la pena e il senso di colpa.
Ambientato nella cornice dell'alta borghesia ebraica di una New York in cui si sfiorano due storie che hanno per protagonisti Judah Rosenthal, noto medico oculista, interpretato da un immenso Martin Landau, perseguitato dall'amante al punto che deciderà di assoldare un killer per ucciderla e Cliff Stern, documentarista impersonato da un Woody Allen mai così alienato come in questo film, senza successo in amore, questo lungometraggio fonde alla perfezione i generi del dramma e della commedia.
Ad affiancare i due protagonisti, un cast brillante e professionale, composto da molte personalità eccellenti del mondo di Hollywood tra cui spicca la deliziosa Mia Farrow, l'arrogante Alan Alda, Angelica Huston, che compare in un breve cameo nel ruolo della hostess Dolores Paley e Sam Waterston nel ruolo del rabbino Ben, allegoria della cecità umana oltre che di una religione che non risolve i dubbi dell'individuo sulla vita e dell'assenza di un Dio che se c'è è indifferente alla sorte die propri figli.
Il tratto comune delle due vicende narrate è che i protagonisti, che nel finale del film si conoscono e si ritrovano a conversare tracciando un bilancio della loro esistenza e raccontandosi in terza persona, si trovano, seppure in maniera diversa, di fronte a scelte morali che faranno vacillare le loro credenze e suggeriranno domande del tipo: “Che cosa sono la morale e il dubbio?”, “Dio esiste?”
Allen non dà risposte a questi quesiti e, proprio perché ritiene che il cinema sia diverso dalla realtà della vita quotidiana, delega al pubblico la possibilità di qualsivoglia giudizio etico.
Però la morale del film non è del tutto negativa.
Il messaggio che l'autore sembra volerci trasmettere è che, nonostante la solitudine che ci opprime, bisogna aggrapparci alle nostre passioni e ai nostri affetti e con la nostra capacità di amare dare “significato all'universo indifferente”, augurandosi che le generazioni future, incarnate nella vicenda dalla nipotina di Cliff, possano capirlo.
Al di là dei numerosi risvolti filosofici sono presenti in quest'opera tutti gli stilemi propri della filmografia del regista e attore newyorchese.
La pellicola infatti è pervasa da una vena umoristica che vira quasi subito verso l'amarezza ed è ambientata in una New York dai toni decadenti, meravigliosamente fotografata da Sven Nykvist, collaboratore abituale di Ingmar Bergman.
E proprio al regista svedese, da sempre suo modello, Allen riserva una raffinata citazione quando Judah, come accadeva al protagonista de “Il posto delle fragole”, rievoca una scena del passato nella sua casa d’infanzia.
A testimonianza della validità di questo prodotto, indicato per chi cerca nel cinema qualcosa di più di un diversivo per trascorrere un paio d'ore, dobbiamo ricordare inoltre che il film è stato candidato a tre premi Oscar nel 1990, al Golden Globe per il miglior film drammatico e ha vinto sette premi internazionali, tra cui il David di Donatello per la migliore sceneggiatura straniera.

Memory

Memory è un brano musicale scritto da Andrew Lloyd Webber per il musical "Cats", andato in scena per la prima volta nel 1981.


Si tratta di uno dei pezzi più noti del compositore, ed uno dei più celebri brani di musical in assoluto, noto soprattutto per le celeberrime incisioni di Elaine Paige e Barbra Streisand.
Musicato da Lloyd Webber su un testo di Trevor Nunn ispirato a "Rapsodia in una notte di vento" di T.S. Eliot, viene cantato da Grizabella, una vecchia gatta emarginata che riflette sulla propria solitudine, ripensando alla giovinezza perduta e alla felicità dei giorni passati.
Per la sua relativa semplicità di esecuzione e il grande effetto emotivo, è una delle canzoni più amate e frequentemente eseguite dagli artisti di musical e non solo.
Tecnicamente non presenta particolari difficoltà e può essere facilmente eseguito da qualsiasi cantante femminile, la tessitura è quella centrale di un mezzosoprano.
Originariamente infatti, doveva essere eseguito non da una cantante professionista ma dall'attrice teatrale Judi Dench, sostituita all'ultimo momento da Elaine Paige, che portò il brano al successo internazionale facendone la propria canzone-simbolo con ben tre incisioni in studio e diverse registrazioni live.
Questo pezzo, che vanta anche numerose versioni strumentali, è stato inoltre eseguito da cantanti quali Betty Buckley, che ha interpretato Grizabella a Broadway, Barbra Streisand, Sarah Brightman, Barry Manilow, Judy Collins, Barbara Dickson, Petula Clark, Ute Lemper, Michael Crawford, José Carreras, e Michael Ball.


Per ch volesse ascoltare il brano nell’interpretazione di Elaine Paige:
http://www.youtube.com/watch?v=4-L6rEm0rnYhttp://www.youtube.com/watch?v=4-L6rEm0rnY

venerdì 6 dicembre 2013

Quarto potere


"Quarto potere" è il primo lungometraggio di Orson Welles.
Questo film, girato nel 1940 quando il regista in seguito al clamoroso successo della sua trasmissione radiofonica "La guerra dei mondi" è stato chiamato a Hollywood dalla RKO, è da molti ritenuto, forse a ragione, il miglior film della storia del cinema.
Una curiosità che serve a sottolineare una volta di più la grandezza di "Quarto potere" è che quest'opera è stata premiata con un Oscar per la miglior sceneggiatura originale scritta dallo stesso Welles che oltre che sceneggiatore è anche produttore, regista e protagonista della pellicola.
Narra la storia della ricerca, condotta da un uomo chiamato Thompson, curatore di un cinegiornale, sul significato di una parola pronunciata da Charles Foster Kane, ricco magnate della carta stampata, in punto di morte.
Egli spera che questa parola possa chiarire la sua vita.
Il sig Thompson non saprà mai cosa voleva dire Kane, gli spettatori invece lo scopriranno alla fine del lungometraggio.
Le sue ricerche lo condurranno a cinque persone che conoscevano bene il protagonista, che avevano simpatia per lui, che lo amavano o lo odiavano per il suo potere.
Esse raccontano cinque storie diverse, ciascuna vissuta in modo soggettivo.
Il messaggio che questo film in definitiva dà è che la verità su Kane, come la verità su ogni uomo, può scaturire solo dalla somma di tutto ciò che viene detto su di lui.
La ricostruzione della vita del cittadino Kane, "Citizene Kane" è il titolo originale del film, dall’infanzia semplice al tramonto nella faraonica dimora di Xanadu in Florida, arca di tutte le arti e specie terrestri, diventa poi l’immagine vivente del mito dell’America: una nazione divenuta superpotenza dal XIX al XX secolo, con la sua filosofia agonistica e materialista del successo e della felicità individuale.
Kane è l’eroe di tutte le contraddizioni di questa società: è il self-made-man indefesso, l’idealista democratico, il monopolizzatore cinico.
Quarto potere è ispirato alla vita del miliardario americano William Randolph Hearst, proprietario di tutti i maggiori quotidiani degli Stati Uniti.
Welles aggiunge il mistero Rosebud, la ricostruzione a testimonianze dirette, cambia il suo nome e quello del suo giornale, ma le affinità biografiche sono innegabili: chiunque avrebbe potuto vedere su schermo la vita privata, compresi errori ed insuccessi, come la bigamia e la sconfitta politica, di uno dei cittadini più illustri dell'epoca.
Hearst per questo, non accettò la situazione e fece di tutto per entrare in possesso dei diritti di proprietà del film, con il solo scopo di distruggere tutte le copie in circolazione.

giovedì 5 dicembre 2013

Crêuza de mâ

Il pezzo di cui si parla nella nota sottostante è considerato da parte di critica e pubblico una delle pietre miliari della musica degli anni ottanta e, in generale, della musica etnica tutta.


"Crêuza de mâ" è la canzone d'apertura che dà il titolo all'omonimo album del 1984, l'undicesimo registrato in studio di Fabrizio De André.



Questo disco è stato ed è considerato da parte della critica una delle pietre miliari della musica degli anni ottanta e, in generale, della musica etnica tutta.
David Byrne ha dichiarato alla rivista "Rolling Stone" che "Creuza de ma" è uno dei dieci album più importanti della scena musicale internazionale degli anni ottanta, e la rivista "Musica & Dischi" lo ha eletto migliore album degli anni ottanta.
Tutte le canzoni sono in lingua genovese, idioma antico ricco di influenze mediterranee, tanto che il disco risultò di difficile comprensione linguistica persino per gli stessi genovesi.
Si tratta di una scelta che andava, nel 1984, contro tutte le regole del mercato discografico e che, contro ogni aspettativa, ha segnato il successo di critica e di pubblico dell'album, il quale ha infatti segnato una svolta nella storia della musica italiana.
In realtà, il disco doveva essere, originariamente, in una lingua mista, composta da idiomi diversi, propri di un marinaio che, navigando ormai da lunghi anni, si sente sia genovese, sia barcelloneta, sia arabo, e così via.
Si è poi deciso di utilizzare la lingua genovese poiché De André riteneva che rappresentasse già un misto di parole derivanti da lingue diverse.
Al centro dei testi vi sono i temi del mare e del viaggio, le passioni, anche forti, e la sofferenza.
Questi temi vengono espressi anche sul piano musicale attraverso il ricorso a suoni e strumenti tipici dell'area mediterranea, nonché all'aggiunta di contributi audio registrati in ambienti portuali o marinareschi, come quello raccolto al mercato del pesce di Piazza Cavour a Genova.
Tornando ad analizzare la canzone possiamo notare che la parola crêuza in genovese significa "sentiero" o "viottolo".
In questo caso la crêuza di ma è però riferibile in maniera allegorica a un preciso fenomeno meteorologico del mare, altrimenti calmo, che sottoposto a refoli e vortici di vento assume striature contorte argentate o scure, simili a fantastiche strade da percorrere.
Infatti prendere per "i viottoli del mare" è sinonimo della possibilità, o della necessità, di scegliere la via, intraprendere il viaggio, reale o ideale.
Il pezzo, considerato tra le più alte espressioni artistiche di Fabrizio De André e dell'intera canzone d'autore italiana, è interamente in lingua genovese.
Il testo è incentrato sulla figura dei marinai, e sulle loro vite da eterni viaggiatori, e racconta il loro ritorno a riva, quasi come estranei.
De André parla magistralmente delle loro sensazioni, la loro narrazione delle esperienze provate sulla propria pelle, la crudezza d'essere in balìa reale degli elementi; poi affiora una ostentata scherzosa diffidenza che si nota nell'assortimento dei cibi immaginati, accettabili e normali, contrapposti ad altri, come le cervella di agnello, o il pasticcio di lepre di coppi, decisamente e volutamente meno accettabili, e citati evidentemente per fare ironia sulla affidabilità e saldezza dell'Andrea.
Alla fine probabilmente la necessità o la loro scelta di vita, li riporterà al mare.
L'album è stato reinterpretato nel 2004 da Mauro Pagani, che ne ha rinnovato l'arrangiamento aggiungendo quel tocco di esotismo che caratterizza la sua musica: oltre alle tracce già presenti nel disco originale, in "2004 Creuza de mä" sono contenute "Al Fair", introduzione vocalizzata nello stile dei canti sacri della Turchia, "Quantas Sabedes", "Mégu Megùn", contenuta nel disco di De André "Le nuvole" e "Nuette", opera mai pubblicate a nome "De André".


Per chi volesse ascoltare questo brano:




martedì 19 novembre 2013

Nicolas Eymerich, inquisitore

Autore: Valerio Evangelisti
Editore: Arnoldo Mondadori Editore
Data di uscita: 2004
Collana: Piccola biblioteca Oscar
N° Pagine: 273
Prezzo: € 10,00

Scritto dallo storico bolognese Valerio Evangelisti nel 1994, comparso nello stesso anno su “Urania” e ripubblicato dopo un decennio, nel 2004, dalla casa editrice Mondadori nella collana “Piccola biblioteca Oscar”, “Nicolas Eymerich, inquisitore” è il primo romanzo della serie incentrata sulla figura, realmente vissuta nel '300, dell'inquisitore catalano Nicolas Eymerich.
La trama di questo volume in cui, oltre ad un'accurata ricostruzione storica, spiccano elementi fantastici, fantascientifici e gotici, si dipana su tre piani temporali diversi collegati fra loro.
Il medioevo europeo, dove il frate domenicano Nicolas Eymerich, mentre si dà da fare per ottenere una ratifica definitiva alla propria nomina ad inquisitore generale, deve indagare su una misteriosa setta i cui adepti si sono infiltrati nella corte aragonese di Saragozza, fronteggiarla e annientarla, i giorni nostri, in cui il fisico Marcus Frullifer elabora una teoria in grado di spiegare i fenomeni paranormali e al tempo stesso di consentire viaggi interstellari e il futuro, dove si narra la spedizione dell'astronave “Malpertuis” verso un pianeta dimenticato dove ancora si manifestano gli dei.
Oltre che per i diversi generi, gestiti dall'autore in modo brillante e vivace, che si fondono in questo libro, l'opera si fa apprezzare per una narrazione leggera e incalzante e per i numerosi personaggi, ben caratterizzati sia fisicamente che psicologicamente, di cui si compone.
Protagonista delle vicende ambientate nella Spagna del 1352 è Nicolas Eymerich, un uomo di chiesa dalle caratteristiche anomale.
È intollerante e spietato, ma anche intelligente, coltissimo, dotato di spirito e coraggio, insieme privo di dubbi e tormentato.
A questo soggetto, con cui i lettori si identificheranno facilmente, si affiancano, rimanendo però defilati rispetto a lui, i comprimari sugli altri piani temporali, l'imbranato Fullifer nel presente e l'inesperto io narrante nel futuro.
L'impianto così ottenuto, che trae ispirazione oltre che da figure storiche esistite ed eventi realmente accaduti da saggi antropologici e da romanzi di fiction come il “Malpertuis”, che è anche il nome dell'astronave della storia, dello scrittore belga Jean Ray, rende il libro di Evangelisti avvincente e ricco di suspense.
Se proprio vogliamo trovare un piccolo neo, che però non sminuisce la bellezza di questo testo, possiamo affermare che i tre contesti in cui si sviluppa il romanzo avrebbero meritato un respiro più ampio per rendere ancora più credibili i personaggi che si muovono al loro interno.
A testimonianza del valore di questo lavoro poi, un'altra curiosità da mettere in evidenza è che questo libro, nell'anno della sua pubblicazione, è stato il vincitore del Premio Urania.
Alla luce di quanto scritto quindi, non si può certo negare che “Nicolas Eymerich, inquisitore” costituisca un'ottima opera di esordio la cui struttura invogli ad andare avanti con la lettura della saga legata alla figura dell'inquisitore catalano che, composta da un totale da dodici volumi, si è protratta dal 1994 fino al 2010.

sabato 26 ottobre 2013

Nicaragua 1984

Soggetto, sceneggiatura, disegni, copertina: Riccardo Mannelli
Editore: Giorgio Sestili Editore
N° pagine: 62
Data d'uscita: Dicembre 1985
Prezzo: € 32,00

In anticipo di quasi trent'anni sul fenomeno del graphic journalism, "Nicaragua 1984", opera dell'artista toscano Riccardo Mannelli stampata da Giorgio Sestili Editore e distribuita da Edizioni Art Core, raccoglie un reportage disegnato che mette a nudo la situazione politica e sociale del paese centroamericano all'indomani delle prime elezioni democratiche che hanno avuto luogo in seguito agli avvenimenti ricordati dagli storici come rivoluzione sandinista.
Questo volume, che si apre con un'introduzione del giornalista Saverio Tutino, è costituito da un insieme di tavole, realizzate con la penna bic senza lesinare dettagli, che fotografano, tra povertà e guerriglia, la difficilissima realtà dei luoghi, visitati personalmente dall'autore a metà degli anni '80, dove ha attecchito l'ideologia patriottica nota come sandinismo.
A differenza della quasi totalità dei prodotti che sono stati fatti rientrare nella categoria del graphic journalism, "Nicaragua 1984" non è un vero e proprio testo a fumetti.
Il libro è composto infatti non da vignette che si susseguono ma da immagini disegnate accompagnate da brevi didascalie che talvolta formano una piccola narrazione ma più spesso contribuiscono a mostrare uno scorcio di un paesaggio o a rendere partecipe il lettore di una situazione particolare.
Nonostante si parli di un periodo crudo della storia centroamericana, il disegnatore pistoiese, con la narrazione al confine tra fumetto e illustrazione che lo contraddistingue, riesce a comunicare, oltre alla drammaticità degli eventi, l’atmosfera magica dei luoghi visitati, il calore dei personaggi incontrati, e l'assoluta autenticità delle sensazioni vissute.
Un'altra peculiarità di Mannelli poi, è quella di riuscire, grazie ad una trattazione della parte scritta arguta e distaccata, a focalizzare l'attenzione su storie di luoghi e persone e sugli avvenimenti descritti sebbene il segno che lo caratterizza, ricco di dettagli, potrebbe fare in modo di spostare l'interesse maggiormente sulla parte grafica che comunque si combina perfettamente con questi ultimi e dà all'opera un equilibrio tra testo e disegni non comune.
Alla luce di quanto detto quindi non si può che consigliare la lettura di questo libro, che smentirà tutti quelli che pensano che con il fumetto non si possano trattare argomenti di attualità in modo critico e costruttivo, sia agli amanti della storia contemporanea che a quelli della letteratura disegnata.

giovedì 24 ottobre 2013

Tetris

Quello di cui parlerò questo post è un videogioco che ho giocato fino allo sfinimento e a cui tutt'ora, quando capita, non disdegno di fare una partita.


Tetris è un videogioco a blocchi inventato il 6 giugno 1984 da Alexey Pazhitnov, un giovane ricercatore russo impiegato all'epoca per il Dorodnicyn Computing Centre dell'Academy of Science dell'Unione Sovietica a Mosca.
Lo scopo del gioco, basato sulla teoria dei tetramini, figure che si possono ottenere disponendo quattro quadrati, ciascuno dei quali ha almeno un lato in comune con almeno uno degli altri tre, è semplice: i pezzi cadono giù uno alla volta dall’alto senza mai fermarsi e il giocatore ha la possibilità di spostarli e ruotarli, per farli incastrare uno sull’altro disponendoli in righe continue orizzontali.
Quando una riga è completa scompare assegnando punti al giocatore.
Se uno dei pezzi rimane fuori dal bordo superiore del contenitore, quando ne arriva uno nuovo, il giocatore ha perso.
I sette possibili tetramini disponibili in Tetris sono chiamati come le corrispondenti lettere dell'alfabeto che più si avvicinano alla forma del pezzo: I, T, O, L, J, S, e Z.
Tutti i pezzi possono completare righe singole o doppie; I, L, e J possono completare anche righe triple e solo la I può completare quattro righe simultaneamente.
Quest'ultima situazione è chiamata un "tetris".

Tetramini

Vi possono essere alcune varianti a queste caratteristiche: ciò dipende dalle regole di rotazione e di punteggio di ogni specifico gioco di Tetris.
Numerosi scienziati, nel corso degli anni, si sono dedicati all'interpretazione analitica del gioco e alla definizione della sua complessità.
Il più noto documento di questo tipo è "Tetris is hard, even to approximate" (http://arxiv.org/abs/cs.CC/0210020) dei matematici Erik D. Demaine, Susan Hohenberger e David Liben-Nowell, pubblicato su Computer Science nel 2002.
È dimostrato che una partita di Tetris si conclude certamente con una sconfitta del giocatore, a meno che non sia prevista la vittoria per numero di righe completate, che quindi non può continuare a giocare all'infinito.
Infatti esiste un N tale che una sequenza di N pezzi S e Z, alternati, rende inevitabile la sconfitta.
Ma in una sequenza infinita casuale di tetramini prima o poi vi sarà un'alternanza di questo tipo e di questa lunghezza, rendendo certa la sconfitta del giocatore.


Per chi volesse provare a giocare una simpatica versione di questo gioco è presente al seguente link:
http://www.math.it/tetris/tetris.htm

Per chi invece volesse ascoltare il tema portante della colonna sonora del gioco:
http://www.youtube.com/watch?v=NmCCQxVBfyM

mercoledì 23 ottobre 2013

Bruno Bozzetto

La visione del breve cortometraggio d’animazione in Flash “L’Italia e l’Europa” postato su un gruppo di FB, mi dà in questo contesto la possibilità di parlare di colui che l’ha realizzato, Bruno Bozzetto.
Bruno Bozzetto è nato a Milano il 3 marzo 1938 ed è un animatore, autore di fumetti, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico, definito più volte da pubblico e critica il Walt Disney italiano.
Nella sua lunga carriera, che dura ancora oggi, ha realizzato tre lungometraggi animati e numerosi cortometraggi, molti dei quali vedono come protagonista il Signor Rossi, simbolo del cittadino italiano medio alle prese con il malcostume della società.
Il suo primo film è “Tapum! La storia delle armi” del 1958.
È del 1960 “Un Oscar per il signor Rossi”, primo cortometraggio ad avere per protagonista il Signor Rossi.
Nel 1965 esce “West and Soda”, parodia del genere western.
“Vip – Mio fratello superuomo”, remake in chiave comica del genere supereroistico, molto in voga all’epoca, risale invece al 1968.
Dopo questo secondo lungometraggio seguono tanti filmati pubblicitari per Carosello e cortometraggi comici e satirici.
Tra i suoi lavori, il più noto è forse il terzo film, “Allegro non troppo” del 1976, ispirato a “Fantasia” di Walt Disney, dal quale si distingue per un approccio più umoristico e mirato, nonché per i minori costi di realizzazione.
Qui la musica classica, più che generare immagine, fa da prestigiosa colonna sonora ad un montaggio di rapide sequenze.
Gli inframmezzi tra un’esecuzione e l’altra sono girati dal vero, con Maurizio Nichetti come protagonista.
Molti suoi cortometraggi sono stati inseriti nelle trasmissioni televisive di divulgazione scientifica curate da Piero Angela per la RAI.
Ha realizzato alcune sigle TV, ad esempio per Settevoci del 1966, e alcune campagne di sensibilizzazione sociale a partire dagli anni ottanta, ad esempio WWF, Sai guardare la TV?, Campagna contro il fumo, IMQ.
Tra i lavori più recenti c’è “Spaghetti family” serie d’animazione tutta italiana del 2003.
Attualmente Bozzetto è impegnato nella realizzazione di opere al computer che sfruttano l’uso di Flash, un software che consente di creare animazioni vettoriali.
Un bellissimo esempio di questa sua nuova attività è il breve cortometraggio animato che sfrutta questa tecnica, diffuso su internet e intitolato “L’Italia e l’Europa” nel quale il regista, ha saputo ancora una volta in modo semplice ed efficace illustrare con sarcasmo alcuni tratti della società italiana odierna.

Rango


Diretto da Gore Verbinski, regista di “The ring” e dei primi tre lungometraggi della saga “Pirati dei Caraibi”, sceneggiato da John Logan, che ha inserito nel film numerose citazioni di famosi capolavori del cinema di cow boy, e realizzato dalla Industrial Light And Magic, qui alle prese con l'animazione dopo numerosi ed eclatanti trionfi nel campo degli effetti speciali, “Rango” è un cartoon sui generis che si discosta in modo significativo dai consueti schemi con cui sono realizzate pellicole di questo tipo.
Lungometraggio di ambientazione western, molto ben realizzato, irriverente e divertente, narra le gesta di Lars, un camaleonte, con la passione per la recitazione, che sogna di essere un eroe.
Ma l'orizzonte di un terrario e il pubblico di una barbie senza testa né braccia e né gambe, un pesciolino di plastica e uno scarafaggio stecchito, non è adatto alle sue manie di grandezza.
Quando però la teca in cui vive viene sbalzata dall'abitacolo della macchina sulla quale viaggia, Lars, dopo una spassosissima passeggiata nel deserto del Mojave, si ritrova nella cittadina di Polvere, infestata da banditi e fuorilegge, e si vede costretto ad assumere, suo malgrado, il ruolo di Rango, pistolero infallibile le cui movenze ricordano il Clint Eastwood protagonista delle pellicole di Sergio Leone.
In questa veste riuscirà a salvare la popolazione di Polvere dalla siccità che attanaglia il villaggio e a coronare il suo sogno di diventare un eroe.
Per quanto riguarda gli aspetti tecnici, la regia di Verbinski, che in questo frangente sembra alle prese con un film dal vero, è molto convincente e ricercata e il recupero del western, che passa anche attraverso l'evocativa colonna sonora curata da Hans Zimmer e le trovate visive di un direttore della fotografia competente come Roger Deakins, è molto congeniale a raccontare la storia di un insolito sognatore destinato a diventare una leggenda.
Altri particolari da mettere in evidenza poi, oltre alla forte connotazione stilistica di Johnny Deep, che nella versione originale gli presta anche la voce, presente nel protagonista sono: scenografie molto accurate, personaggi secondari ben caratterizzati sia graficamente che psicologicamente, citazioni che rivisitano tutti i luoghi comuni appartenenti alle varie epoche del cinema western e la tematica attorno alla quale si sviluppa tutta la trama filmica, la necessità, la disponibilità e lo sfruttamento dell'acqua.
Il tutto mescolato con brio, intelligenza, trovate comiche azzeccate e una sana vena cinica.
Concludendo possiamo affermare quindi che questo film, alternativa davvero valida alle pellicole del colosso Pixar, sia un prodotto davvero molto divertente che non predilige una sola tipologia di pubblico ma merita d'essere visto da tutti.

lunedì 21 ottobre 2013

Per un pugno di dollari

In questo post mi vorrei soffermare sul primo film di cui abbia un ricordo preciso, un'opera che mi ha fatto comprendere a pieno le potenzialità del media cinema.


Fare qualcosa di nuovo nel cinema è piuttosto "inusuale".
Grandi film come "Quarto potere", "Ladri di biciclette" e "Nashville", opere di geni che sono state fonte di ispirazione per moltitudini di registi più giovani, sono molto pochi.
"Per un pugno di dollari" appartiene di diritto a questa categoria.
Prima di questo film, infatti, regnava il western americano.
Nonostante ne fossero stati girati molti in Italia, questi non sembravano discostarsi molto da quelli statunitensi.
La situazione però cambiò dopo che "Per un pugno di dollari" fu realizzato.
Presto, infatti, molti registi si ispirarono alle tecniche di Sergio Leone e molti film di un nuovo genere che fu chiamato “spaghetti western”, uscirono in quegli anni nelle sale.
"Per un pugno di dollari" è quasi il rifacimento scena per scena del film di Akira Kurosawa "Yojimbo", conosciuto in Italia col titolo "La sfida del samurai".
La trama di questo lungometraggio parla di un samurai che arriva in una città lacerata da due bande di combattenti, appartenenti a due famiglie rivali.
Il samurai li mette gli uni contro gli altri, aiuta una famiglia a fuggire e alla fine distrugge quasi tuta la città e scappa con del denaro.
Cambiate il samurai con un pistolero, cambiate il villaggio giapponese con una piccola cittadina del west e avrete "Per un pugno di dollari".
Leone prende in prestito da Kurosawa anche i set affollati, la calma che pervade il film, l’uomo senza nome, l’uso della musica per rimpiazzare i dialoghi ed infine la fotografia lenta propria del regista giapponese.
Nonostante ciò, "Per un pugno di dollari" non è una semplice copia de "La sfida del samurai".
Il regista romano usa perfettamente le tecniche di Kurosawa, ma adotta anche elementi propri del suo stile: rapide zoomate, primi piani e occhi socchiusi.
Come western inoltre il film infrange un gran numero di regole.
Non ci sono indiani, l’uomo senza nome, grazie a dio, non suona la chitarra e non canta canzoni.
L’eroe buono del film, inoltre, è spietato e affamato di denaro come i cattivi e la sola differenza che esiste fra lui e quest’ultimi è che l’uomo senza nome risparmia gli innocenti.
Il film è più violento delle pellicole di quel genere che si erano visti fino a quel momento, Leone infatti, non sapeva che secondo le regole di Hollywood non era accettata la violenza nei film western e fece a riguardo ciò che gli sembrò opportuno.
È inutile dire che il risultato ridefinì le regole.
Protagonista, nel ruolo principale è Clint Eastwood, la cui apparizione in questo e nei due film successivi del regista romano gli conferì fama internazionale.
Quando decise di musicare "Per un pugno di dollari", Leone voleva ricorrere alla musica di Francesco Lavagnino che aveva lavorato con lui nel film Il colosso di Rodi.
Fortunatamente incontrò Ennio Morricone le cui sonorità lo interessarono.
E Morricone seppe ripagare la fiducia che Leone aveva riposto in lui.
Le colonne sonore dei primi western erano canzoni popolari americane sempre piacevoli e con voce vellutata.
La musica di Morricone invece, s’ispira pienamente allo stile western e sembra più musica folcloristica messicana.
Per la realizzazione del film Leone temeva che il pubblico americano non avrebbe mai guardato un prodotto girato in Italia.
Così sia lui che Ennio Morricone cambiarono il loro nome in Bob Robertson, figlio di Roberto Roberti, e Don Savio.
Questo film, contro le più rosee attese ottenne un gran successo e fu il primo di un genere, lo “spaghetti western” che crebbe rapidamente.

giovedì 22 agosto 2013

Il testamento del capitano

Capitano alpino

Il racconto della famosa aria degli alpini “Il testamento del capitano” inizia nel 1528 quando Michele Antonio di Saluzzo, marchese e luogotenente del marchesato per conto di Enrico III, colpito sul campo di battaglia nei pressi di Napoli, prima di morire volle comunicare ai soldati le sue estreme volontà.
Ne nacque una ballata popolare che andò cantando gli ultimi istanti di vita del “Sor Capitani di Salusse”.
Quattro secoli dopo fu adottata, con alcune varianti, dagli alpini che si riconoscevano in quel “testamento” che durante la guerra li consolava nonostante fosse pervaso di una rassegnata mestizia e della nostalgia per i momenti gioiosi della vita.

Questo il testo della canzone:

El capitan de la compagnia
l'è ferito stà per morir
e manda a dire ai suoi Alpini
perchè lo vengano a ritrovar.
e manda a dire ai suoi Alpini
perchè lo vengano a ritrovar.

I suoi Alpini ghè manda a dire
che non han scarpe per camminar
O con le scarpe o senza scarpe
i miei Alpini li voglio qua.
O con le scarpe o senza scarpe
i miei Alpini li voglio qua.

Cosa comanda, siòr capitano,
che noi adesso semo arrivà?
Io comando che il mio corpo
in cinque pezzi sia taglià.
Io comando che il mio corpo
in cinque pezzi sia taglià.

Il primo pezzo alla mia Patria
secondo pezzo al Battaglion
il terzo pezzo alla mia Mamma
che si ricordi del suo figliol.
il terzo pezzo alla mia Mamma
che si ricordi del suo figliol.

Il quarto pezzo alla mia bella
che si ricordi del suo primo amor.
L'ultimo pezzo alle montagne
che lo fioriscano di rose e fior
L'ultimo pezzo alle montagne
che lo fioriscano di rose e fior.



Per chi volesse ascoltare la canzone
http://www.youtube.com/watch?v=xK4REQMyBsg


Per chi volesse ascoltare la canzone in una versione cantata da Mina:
http://www.youtube.com/watch?v=GYYiJAgyFnY

domenica 11 agosto 2013

Big Band Bossa Nova

Quincy Jones
Big Band Bossa Nova (1998)
Verve 0602498840399
11 brani – durata: 35' 44''

Uscito originariamente nel 1962 per la casa discografica di Chicago Mercury Records, è stato ristampato nel 1998 dall’etichetta Verve “Big Band Bossa Nova” l’album in cui il cantante, trombettista e produttore discografico statunitense Quincy Jones con arrangiamenti imponenti per una big band che annovera elementi di grande rilievo nel panorama musicale americano come tra i tanti: Clark Terry, Phil Woods, Lalo Schifrin, Jim Hall e, nel brano “Soul Bossa Nova”, Rahsaan Roland Kirk, esplora il mondo musicale brasiliano.
I pezzi presenti infatti hanno tutte le caratteristiche della bossa nova, genere nato in Brasile alla fine degli anni ’50 del ventesimo secolo, come: una struttura minimalista, un suono spesso soffuso su ritmo lento, se non lentissimo, ma con un incedere incalzante.
Oltre all’influenza della bossa nova, si avvertono in questo disco influssi di generi musicali diversi come longue e jazz, di cui Quincy Jones adotta strumenti e impianti sonori.
Tra le undici tracce di questo CD, tutte molto ritmate e di grande effetto, oltre alla notissima “Soul Bossa Nova”, comparsa nella colonna sonora di molti film tra i quali i più famosi sono “L’uomo del banco dei pegni” di Sidney Lumet e quelli della serie “Austin Powers”, interpretati dal comico anglo canadese Mike Myers, spiccano infatti le maestose e potenti rivisitazioni strumentali delle famose canzoni “Desafinado”, composta nel 1958 da Antonio Carlos Jobim e Newton Mendonça e originariamente interpretata dal cantante e chitarrista brasiliano João Gilberto, “Manhã De Carnaval” musicata dal chitarrista Luiz Bonfá su testi di Antônio Maria e “Lalo Bossa Nova”, pezzo scritto dal pianista e compositore argentino Lalo Schifrin.
Disco che racchiude un enorme varietà di generi sarà apprezzato da una vastissima varietà di appassionati che spaziano da quelli cha amano la musica brasiliana a chi è patito di musica jazz, da chi va pazzo per il lounge, a chi si vuole immergere nelle atmosfere, richiamate dalla variegata tracklist, dei più bei film interpretati da attori noti come: Peter Sellers, David Niven o Sean Connery.
Alla luce di quanto detto fin’ora si può quindi affermare, senza paura di smentite, che l’ascolto di questo disco sia vivamente consigliato. 

TRACKLIST

1 “Soul Bossa Nova” 2:44
2 “Boogie Stop Shuffle” 2:41
3 “Desafinado” 2:53
4 “Manhã De Carnaval (Morning Of The Carnival)” 2:55
5 “Se É Tarde Me Perdoa (Forgive Me If I’m Late)” 4:21
6 “On the Street Where You Live” 2:32
7 “One Note Samba (Samba De Una Nota So)” 2:00
8 “Lalo Bossa Nova” 3:12
9 “Serenata” 3:18
10 “Chega De Saudade (No More Blues)” 5:30
11 “A Taste of Honey” 2:56

sabato 15 giugno 2013

Malarazza


"Malarazza" è una canzone che Domenico Modugno, nel 1976, ha scritto rielaborando con la cantante siciliana Emma Muzzi Loffredo una poesia di un anonimo siciliano, pubblicata nel 1857 da Lionardo Vigo Calanna, marchese di Gallodoro (http://it.wikipedia.org/wiki/Lionardo_Vigo_Calanna).
Il testo parla di un servo che viene picchiato e maltrattato da un padrone prepotente e chiede giustizia a Gesù che, sconsolato, gli risponde di farsi giustizia da solo, se la vuole, tirando fuori i denti e combattendo perché nessuno la farà mai al posto suo.
Il brano, nel corso degli anni, è stato eseguito e rivisitato anche da nomi famosi della musica italiana come: Roy Paci & Aretuska, Carmen Consoli, Ginevra Di Marco e i Lautari.
Ecco il testo:

Nu servu tempu fa d’intra na piazza
.
Prigava a Cristu in cruci e ci dicia:

"Cristu, lu mi padroni mi strapazza

mi tratta comu un cani pi la via.

Si pigghia tuttu cu la sua manazza
.
Mancu la vita mia dici che è mia.

Distruggila Gesù sta malarazza!

Distruggila Gesù fallu pi mmia!

…fallu pi mia!"

Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastoni e tira fora li denti!

Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastoni e tira fora li denti!

E Cristu m’arrispunni dalla cruci:

“Forsi si so spizzati li to vrazza?

Cu voli la giustizia si la fazza!

Nisciuni ormai chiù la farà pi ttia!

Si tu si un uomo e nun si testa pazza,

ascolta beni sta sentenzia mia,

ca iu ‘nchiodatu in cruci nun saria

s’avissi fattu ciò ca dicu a ttia.

Ca iù ‘inchiadatu in cruci nun saria!”

Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastoni e tira fora li denti!

Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastoni e tira fora li denti!

Per chi volesse ascoltare questa canzone:
http://www.youtube.com/watch?v=ng2R9JRgaXc

lunedì 13 maggio 2013

Oltre il ponte

"Oltre il ponte" è un brano musicale scritto da Italo Calvino nel 1958 e musicato da Sergio Liberovici nel 1959.
Il testo della canzone tratta della Resistenza italiana, e vede un ex-partigiano narrare alla sua giovane figlia le sue avventure in guerra, ricordandole quanto i giovani dell'epoca, e io aggiungo anche quelli di oggi, sono scarsamente interessati alla storia del proprio paese.

Testo:

O ragazza dalle guance di pesca
o ragazza dalle guance d'aurora
io spero che a narrarti riesca
la mia vita all'età che tu hai ora.
Coprifuoco, la truppa tedesca
la città dominava, siam pronti
chi non vuole chinare la testa
con noi prenda la strada dei monti

Silenziosa sugli aghi di pino
su spinosi ricci di castagna
una squadra nel buio mattino
discendeva l'oscura montagna
La speranza era nostra compagna
a assaltar caposaldi nemici
conquistandoci l'armi in battaglia
scalzi e laceri eppure felici

Avevamo vent'anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch'è in mano nemica
vedevam l'altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent'anni la vita è oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l'amore.

Non è detto che fossimo santi
l'eroismo non è sovrumano
corri, abbassati, dai balza avanti!
ogni passo che fai non è vano.
Vedevamo a portata di mano
oltre il tronco il cespuglio il canneto
l'avvenire di un mondo piu' umano
e più giusto più libero e lieto.

Ormai tutti han famiglia hanno figli
che non sanno la storia di ieri
io son solo e passeggio fra i tigli
con te cara che allora non c'eri.
E vorrei che quei nostri pensieri
quelle nostre speranze di allora
rivivessero in quel che tu speri
o ragazza color dell'aurora.

Avevamo vent'anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch'è in mano nemica
vedevam l'altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent'anni la vita è oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l'amore.

Avevamo vent'anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch'è in mano nemica
vedevam l'altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent'anni la vita è oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l'amore

Nel 2005, all'interno dell'album "Appunti partigiani", i Modena City Ramblers ripropongono il pezzo insieme a Moni Ovadia utilizzando come base una musica tradizionale irlandese.


Per chi volesse ascoltare il brano:

giovedì 9 maggio 2013

Ballo in fa # minore


Ballo in fa Diesis Minore è un pezzo molto bello e imponente di Angelo Branduardi che fa parte dell'album "La pulce d'acqua" del 1977 che ebbe, all’epoca della sua uscita, un notevole impatto e, ancora oggi, conserva un discreto fascino.
 
La pulce d'acqua 1977

La melodia originale, che ha ispirato quest'opera, intitolata "Schiarazula Marazula", fu composta nel 1578 dal musicista e prete parmense Giorgio Mainerio, che probabilmente l’aveva tratta a sua volta da qualche brano tradizionale dell’epoca.
Le citazioni di questa canzone sono molteplici.
Come spiega lo stesso Branduardi: «C'è una forte allusione agli affreschi medioevali della "Danza macabra", dove la morte ballava coi vivi per poi portarli via.
In questo brano però, c’è l’idea che la musica abbia un potere talmente alto da far dimenticare alla morte di essere venuta per portarci via.
Un esorcismo della morte attraverso la musica e la danza.
C’è anche un rimando al film "Il settimo sigillo" di Ingmar Bergman, dove un cavaliere gioca a scacchi con la morte.
Mentre, insieme ad altre persone, sta attraversando una foresta di notte, distrae apposta la morte così che tre di loro possano fuggire.
E non è un caso che chi si salva sia un menestrello con la moglie e il figlio.
All’alba, i tre vedono su una collina la morte che porta via gli altri e il cavaliere che aveva dato la sua vita per la loro».




Per chi volesse ascoltare questa canzone:
http://www.youtube.com/watch?v=5tXNhkj7U4I

mercoledì 1 maggio 2013

Tammurriata nera


“Tammurriata nera” è una canzone napoletana del 1945 di E. A. Mario, che ne ha composto la musica, ed Edoardo Nicolardi, che ne ha scritto il testo.
Racconta la storia di una donna che mette al mondo un bimbo di colore, concepito da un soldato durante l’occupazione americana e tuttavia accetta il figlio, forte del proprio amore materno.
L’intera vicenda è raccontata da una specie di “coro greco”, che ironizza sul fatto che per quanto la donna rigiri il figlio, Seh, vota e gira, seh, seh, gira e vota, seh, o gli affibi nomi italiani come Ciccio, Antonio, Peppe o Ciro, ca tu ‘o chiamme Ciccio o ‘Ntuono, ca tu ‘o chiamme Peppe o Giro, il bambino che ha partorito è comunque nero, chillo ‘o fatto è niro niro, niro niro comm’a cche.
La nascita della canzone prende ispirazione da un episodio accaduto a Nicolardi, che vide un certo trambusto nel reparto maternità presso l’ospedale di Napoli Loreto Mare, di cui era dirigente amministrativo.
Una giovane aveva dato alla luce infatti un bambino di colore, e di fatto non era l’unica in quel periodo ad essere rimasta incinta dei soldati afro americani.
Tale episodio rappresentava una vera e propria svolta epocale per la società napoletana ed italiana, e Nicolardi, già autore di canzoni napoletane di un certo successo, fra cui la famosa “Voce ‘e notte”, insieme all’amico e consuocero, il musicista E. A. Mario, autore fra l’altro de “La leggenda del Piave”, scrissero di getto “Tammurriata nera”.
Fra i primi a rendere celebre il brano fu Renato Carosone, che contribuì a farlo diventare famoso in tutta Italia, rendendolo parte del proprio repertorio.
A livello discografico, però la versione più ricordata di “Tammurriata nera” fu quella registrata nel 1974 dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare, che rimase nella hit parade dei singoli più venduti in Italia per diverse settimane.
Fra gli altri interpreti ad aver cantato una propria versione del brano si ricordano Roberto Murolo, Vera Nandi e Gabriella Ferri.

Tammurriata nera


Io nun capisco ‘e vvote che succere
e chello ca se vere nun se crere nun se crere.
È nato nu criaturo, è nato niro,
e ‘a mamma ‘o chiamma Giro,
sissignore, ‘o chiamma Giro.

Seh, vota e gira, seh
seh, gira e vota, seh
ca tu ‘o chiamme Ciccio o ‘Ntuono,
ca tu ‘o chiamme Peppe o Giro,
chillo ‘o fatto è niro niro, niro niro comm ‘a cche...

S’ o contano ‘e cummare chist’affare
sti cose nun so’ rare se ne vedono a migliare.
‘E vvote basta sulo ‘na ‘uardata,
e ‘a femmena è rimasta sott’a botta ‘mpressiunata.

Seh, ‘na ‘uardata, seh
seh, ‘na ‘mprissione, seh
va truvanno mò chi è stato,
c’ha cugliuto buono ‘o tiro
chillo ‘o fatto è niro niro, niro niro comm’a cche...

E dice ‘o parulano, Embè parlammo,
pecché si raggiunammo chistu fatto ce ‘o spiegammo.
Addò pastin’ ‘o grano, ‘o grano cresce
riesce o nun riesce, semp’è grano chello ch’esce.

Meh, dillo a mamma, meh
meh, dillo pure a me
conta ‘o fatto comm’è ghiuto
Ciccio, ‘Ntuono, Peppe, Giro
chillo ‘o fatto è niro niro, niro niro comm’a che...

Seh ‘na ‘uardata seh
seh ‘na ‘mprissione seh
và truvanno mò chi è stato
c’ha cugliuto buono ‘o tiro
chillo ‘o fatto è niro niro, niro niro comm’a cche...

‘E signurine ‘e Caporichino
fanno ammore cu ‘e marrucchine,
‘e marrucchine se vottano ‘e lanze,
e ‘e signurine cu ‘e panze annanze.

American espresso,
ramme ‘o dollaro ca vaco ‘e pressa
sinò vene ‘a pulisse,
mette ‘e mmane addò vò isse.

Aieressera a piazza Dante
‘o stommaco mio era vacante,
si nun era p’ ‘o contrabbando,
ì’ mò già stevo ‘o campusanto.

E levate ‘a pistuldà
uè e levate ‘a pistuldà,
e pisti pakin mama
e levate ‘a pistuldà.

‘E signurine napulitane
fanno ‘e figlie cu ‘e ‘mericane,
nce verimme ogge o dimane
mmiezo Porta Capuana.

Sigarette papà
caramelle mammà,
biscuit bambino
dduie dollare ‘e signurine.

A Cuncetta e a Nanninella
‘e piacevan ‘e caramelle,
mò se presentano pe’ zitelle
e vann ‘a fernì ‘ncopp’e burdelle.

E Ciurcillo ‘o viecchio pazzo
s’è arrubbato ‘e matarazze
e ll’America pe’ dispietto
ce ha sceppato ‘e pile ‘a pietto.

Aieressera magnai pellecchie
‘e capille ‘ncopp ‘e recchie
e capille e capille
e ‘o recotto ‘e camumilla...
‘O recotto, ‘o recotto
e ‘a fresella cu ‘a carna cotta,
‘a fresella ‘a fresella
e zì moneco ten ‘a zella.
tene ‘a zella ‘nnanze e arreto
uffa uffa e comme fete
e lle fete e cane muorto
uè pe ll’anema e chillemmuorto.

E levate ‘a pistuldà
uè e levate ‘a pistuldà,
e pisti pakin mama
e levate ‘a pistuldà.

Per chi volesse ascoltare la canzone nella versione della Nuova Compagnia di Canto Poplare:
http://www.youtube.com/watch?v=ZXMPryOrMhs

sabato 20 aprile 2013

Topolino e la promessa del gatto

Sceneggiatura: Francesco Artibani
con la supervisione di Andrea Camilleri
Disegni: Giorgio Cavazzano
Colori: Mirka Andolfo
pubblicata su Topolino 2994
Data di uscita: Aprile 2013
N° Pagine: 39
Prezzo: € 2,40

A pochi giorni dal lancio degli episodi della nona stagione della serie televisiva “Il commissario Montalbano”, ispirata ai romanzi gialli di Andrea Camilleri, The Walt Disney Company Italia rende omaggio al noto personaggio letterario con un'avventura molto bella e particolare.
Nel numero 2994 del settimanale a fumetti Topolino, uscito nelle edicole italiane il 16 aprile 2013, compare infatti la storia dal titolo “Topolino e la promessa del gatto”.
Il racconto, disegnato da Giorgio Cavazzano con il suo inconfondibile tratto, una sintesi perfetta tra comico e realistico, valorizzato dai colori della bravissima Mirka Andolfo, scritto da Francesco Artibani, che ha curato ogni particolare del testo rendendo la sceneggiatura suggestiva e ricca di tensione, e supervisionato dallo stesso Camilleri, che appare in un cameo interpretando il signor Patò, padrone di una pensione e ospite impeccabile, è ambientato in Sicilia tra la valle dei templi e il paese immaginario di Vigatta e vede Topolino affiancare il commissario Salvo Topalbano, parodia del celebre poliziotto con tanto di nasetto ed orecchie, in un'indagine di rapimento.
Se all'inizio tra i due, per diversità culturale e di metodi di investigazione, non c'è feeling, in seguito collaboreranno all'unisono per risolvere una vicenda intricata che li vede contrapposti ad un gruppo di pericolosi criminali.
Grazie a questa intesa Topolino, e con lui il lettore, avrà modo di apprezzare un paese con i suoi meravigliosi panorami e le sue enormi contraddizioni, di entrare in contatto con le tradizioni del luogo e di imparare qualche parola del dialetto del posto.
Oltre alla poetica, alle atmosfere e al linguaggio propri dei libri dello scrittore di Porto Empedocle, resi alla perfezione da Artibani, ai due protagonisti, alle meravigliose ambientazioni e ai paesaggi della Sicilia, disegnati con dovizia di particolari da Cavazzano, in questa storia si ritrovano anche i personaggi che compongono il gruppo che coadiuva Montalbano nelle inchieste che hanno fatto amare le sue imprese da milioni di lettori in tutta Europa, anche loro resi personaggi dei fumetti.
Il braccio destro del commissario, l'agente Domenico “Mimì” Augello, diventa così Ninì Cardillo, l'ispettore Fazio si trasforma in Strazio e il centralinista Catarella, che ha il difetto di storpiare tutti i nomi e di parlare in un linguaggio tutto suo, in Quaquarella.
A questi si contrappone il boss Totò Sinatra che con i suoi tirapiedi, tra cui spiccano Prorunasu e Facciaesantu, nomi che richiamano quelli dei due briganti che affiancano il protagonista Rinaldo Dragonera nella commedia musicale di Garinei e Giovannini “Rinaldo in campo” portati in scena per la prima volta dai comici Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, causerà non pochi problemi a Topalbano e alla sua squadra.
Inutile dire che, nella più classica tradizione disney, il lieto fine è assicurato.
Alla luce di quanto scritto, per il suo mix estremamente equilibrato tra sceneggiatura e disegni, si può quindi affermare che la lettura di questa avventura sia consigliata non solo agli amanti del buon fumetto ma anche agli appassionati di letteratura gialla e ai numerosi fans di Andrea Camilleri.

lunedì 15 aprile 2013

Esterina - diferoedibotte (2008)

Esterina
esterina diferoedibotte (2008)
Nopop AS0002
12 brani – Durata 50’ 21’’

"Mia nonna si chiamava Esterina, veniva da un piccolo paesino fra i monti della mia terra e ogni mattina alle prime luci dell’alba si infilava un paio di stivali marroni logori, lacerati dal tempo e dalla fatica quotidiana e andava a lavorare i due ettari di terra che i suoi genitori, entrambi contadini, le avevano lasciato".

Con queste parole si presenta Fabio Angeli, chitarrista, cantante e leader degli Esterina, gruppo, formato oltre che da lui da altri validi elementi come: Giovanni Bianchini alla batteria, Giovanni Butori al basso, Alessandro Frediani al vibrafono, diamonica, theremin, synth e campionamenti e Massimiliano Grasso alle tastiere, fisarmonica ed elettronica, il cui esordio discografico, “diferoedibotte”, è uscito nel maggio del 2008, prodotto da Guido Elmi per l’etichetta bolognese Nopop e distribuito da EMI.
Esterina, band nata nel 1994 a Massarosa, piccolo paese della Toscana a ridosso della Versilia, prima di essere Esterina è stata per dodici anni Apeiron.
Con questo nome il quintetto toscano ha attraversato un decennio di musica, ha cercato nel rock le proprie ragioni e allo stesso tempo è andato molto oltre.
All’inizio della loro attività musicale infatti, si poteva rintracciare nei brani della band massarosese richiami a gruppi come The Doors, King Krimson e Area.
Successivamente gli interessi ed i punti di riferimento si sono frammentati in un orizzonte più vasto, eterogeneo e meno imitatorio, a vantaggio di una poetica personale che si è sviluppata nella ricerca formale e comunicativa intorno e oltre la forma canzone.
Questo modo di fare musica ha dato origine ad un album in cui l’ascoltatore si confronta con brani in cui una struttura musicale che riesce a combinare con naturalezza la capacità di rottura e la grazia della canzone d’autore italiana, l’immediatezza e la malinconia delle ballate popolari, intagli e accelerate elettriche che si impastano a battiti sintetici, ottenuta con strumenti propri di un trio rock, batteria, chitarra elettrica e basso, miscelati ad elettronica, sintetizzatori analogici, theremin, vibrafono e fisarmonica, fa da sfondo e da commento a testi che mischiano in modo sapiente la lingua italiana ad espressioni ed inflessioni proprie della terra toscana.
Le dodici pregevolissime tracce di cui si compone il CD, potenti e sentite che costituiscono una denuncia verso la società e un attaccamento a valori autentici, si focalizzano su un’analisi lucida della superficialità del mondo moderno, che si contrappone all’autenticità e alla semplicità dell’uomo di campagna.
Ciò è evidente nella trascinante “Razza di conquista”.
Ma soprattutto parlano di capacità d’indignazione, come in “Senza resa”, e di personaggi finti che hanno nella convenienza e nell’accumulo di credito la loro ragione di vita come quelli che sono dipinti nel brano “Baciapile”.
Alla luce di quanto scritto si può quindi affermare, senza paura di smentite, che questo degli Esterina è un disco d’esordio che difficilmente passerà inosservato e augurarci che gruppi come questi si affaccino sempre di più nel panorama musicale italiano.

sabato 6 aprile 2013

I capolavori dell'animazione [2]

Ghost in the shell


Ghost in the shell è un lungometraggio d’animazione giapponese che ha conquistato numerosi premi e riconoscimenti in tutto il mondo.
Capolavoro del 1995 tratto dal manga di Masamune Shirow, diretto dal famoso regista Mamoru Oshii e realizzato dalla Production I.G, uno dei più noti studi del sol levante responsabile tra le altre cose anche delle sequenze animate di Kill Bill vol. 1, il film, la cui trama ruota intorno all’indagine compiuta da una sezione della polizia giapponese alla ricerca di un hacker, è ambientato nell’anno 2029 dove la rete informatica la fa da padrona e dove macchine e uomini convivono.
In questo mondo ciò che differenzia l’uomo dalla macchina è ciò che viene definito ghost, l’essenza principale dell’animo umano che riempie con lo spirito vitale lo shell, il guscio, l’involucro robotico.
Protagonista della vicenda è il maggiore Motoko Kusanagi, agente speciale della Sezione 9 unità anti terrorismo cibernetico dipendente direttamente dal governo, che, coadiuvata dalla sua squadra, cerca di incastrare il Signore dei Pupazzi, un criminale che agisce sulla rete e che, per commettere i propri crimini, manipola le menti di ignare persone.
All’indagine si aggiunge anche un complotto politico, utilizzato per nascondere la vera natura del malvivente, che i componenti della squadra devono sventare.
Motoko Kusanagi, che presenta forti innesti meccanici nel suo corpo, sta attraversando un periodo di crisi di identità in quanto si sta chiedendo quanto di umano e quanto di macchina ci sia in lei.
I suoi dubbi e i suoi dilemmi trovano una risposta allorché la sezione si imbatte finalmente nel Signore dei Pupazzi, una coscienza cibernetica auto generatasi all’interno delle IA della rete a seguito di un programma virus del governo americano, che tenta di mettersi in contatto con il maggiore per fondersi con lei e dar vita ad una nuova stirpe di creature adatte al nuovo mondo tecnologicizzato
Mamoru Oshii, regista che ha una certa esperienza nel campo della fantapolitica e che ha firmato la regia dei due film animati di Patlabor, di buona parte degli episodi della serie televisiva di Uruseiyatsura, nonché di alcuni film dal vero, riesce a districarsi molto bene tra gli intrecci della trama, delineando con credibilità i vari personaggi che si avvicendano nella storia.
Rispetto al manga, in cui si dà spazio anche a momenti sentimentali e comici, si può affermare che l’anime abbia un’atmosfera molto più cupa.
Inoltre in Ghost in the Shell abbonda la violenza sottoforma di sparatorie, corpi frantumati e fiumi di sangue.
Oshii riesce tuttavia a equilibrare i tempi dell’azione frenetica e del dialogo tagliente e si pone una domanda angosciante: se la tecnica è in grado di creare androidi, capaci di ricordare e quindi di interrogarsi sulla propria identità, cosa rimane a distinguere un uomo da un cyborg?
Tecnicamente Ghost in the Shell è ineccepibile.
I fondali sono vere e proprie opere d’arte, riproduzioni quasi fotografiche di una città giapponese del prossimo futuro.
L’animazione è realistica e fluida e il character design è opera dello stesso Hiroyuki Okiura che ritroviamo in Spriggan e Perfect Blue.
L’uso della CG non è mai eccessivo: buona parte del fascino visivo di Ghost in the Shell è dovuto alle capacità degli animatori.
Per quanto riguarda le musiche, Kenji Kawai, se mai ce ne fosse bisogno, riesce a dare con le sue sonorità ancora più cupezza all’anime.
Alcune scene poi, come l’assalto finale al mech, sono rimaste nell’immaginario di tutti gli appassionati di animazione giapponese.
Cosa aggiungere?
Il fatto che i fratelli Wachowsky ne abbiano attinto a piene mani per la loro trilogia di Matrix, dice davvero tutto.

lunedì 18 marzo 2013

Cinema

Andrea Fascetti
Cinema (2012)
Autoproduzione
8 brani + 2 bonus tracks – Durata 51’ 14’’

Registrato presso gli studi dell'Associazione Culturale Scuola di Rock di Camaiore, “Cinema” è il secondo disco del bassista toscano e virtuoso dello strumento Andrea Fascetti.
Accompagnato da una formazione di musicisti validi e preparati, si destreggia in alcune rivisitazioni in chiave jazz di brani tratti da colonne sonore opera di compositori, come John Williams, Lallo Schifrin, Bernard Hermann ed Henry Mancini, che sono considerati tra i massimi autori di musica da film.
La ricca e variegata track list di questo album in cui, pur rimanendo riconoscibili per il pubblico degli appassionati, vengono riviste e rielaborate melodie che coprono settant'anni di storia del cinema, si apre con il tema di “Schindler's List” reso etereo e toccante dalle note di basso e da un commento di pianoforte suonato con grande maestria dal giovane Andrea Garibaldi.
Continua con un omaggio musicale al maestro “Mario Monicelli”, illustre regista versiliese, ed al “Cinema Centrale”, edificio ormai chiuso da anni che molto ha dato alla cultura del comune di Viareggio, che si fanno apprezzare, il primo per un impianto lieve e seducente mentre il secondo per un ritmo serrato e coinvolgente dettato per lo più dalla batteria di Massimo Manzi.
In “Twisted Nerve”, brano conosciuto dai più per aver fatto parte del commento sonoro del film di Quentin Tarantino “Kill Bill”, al fischio snervante che lo caratterizza nella sua esecuzione originale viene sostituita la tromba di Marco Bartalini che conferisce al pezzo un'atmosfera che richiama ritmi sudamericani.
Assoli cupi, avvolgenti e puliti dello stesso strumento si ritrovano in “Vincent Price” mentre “Alice in Wonderland”, “Secret Love” e “Days of Wine and Roses” conferiscono a questo lavoro un ritmo più calmo e pacato al contrario di “Mission Impossible Theme” che spicca per una cadenza molto sostenuta con Fascetti che, nell'esecuzione del motivo, dà prova di una notevole attitudine all'improvvisazione e di uno spiccato senso della frase musicale.
Conclude questo CD, estremamente consigliato sia ai cultori di musica jazz che a quelli di colonne sonore, “When I Fall In Love” dove ancora una volta Bartalini, con la bravura che lo contraddistingue, evoca, con tromba e flicorno, momenti molto ricchi di pathos coinvolgendo gli ascoltatori in esperienze oniriche e di grande fascino.