giovedì 20 marzo 2014

La donna è mobile

Dopo aver parlato del "Nessun dorma" ancora una volta parlerò di una romanza famosissima, interpretata più volte dai tenori di tutto il mondo, scritta da un altro immortale della musica operistica italiana.

"La donna è mobile" è la canzone che il Duca di Mantova, personaggio interpretato dal tenore, intona nel terzo ed ultimo atto del "Rigoletto", opera del 1851 di Giuseppe Verdi.



È uno dei brani operistici più popolari, grazie alla sua estrema orecchiabilità e al suo accompagnamento danzante.
Si racconta che Verdi ne proibì la diffusione prima dell'andata in scena dell'opera, al Teatro La Fenice di Venezia, per non rovinarne l'effetto.
Queste stesse caratteristiche di facilità ne fanno per altro uno dei bersagli favoriti dei detrattori di Verdi e dell'opera dell'Ottocento.
In realtà, "La donna è mobile" è musica da ascoltare nel suo contesto drammaturgico.
Il suo carattere triviale riflette il luogo, i bassifondi della città di Mantova, e la situazione in cui è cantata.
Con la sua superficiale leggerezza, perfettamente incarnata dalla musica, il duca riflette sulla propria personale visione di vacuità e imperscrutabilità femminile, ove la donna è vista come piuma al vento, suscettibile di cambiamenti tanto nei pensieri quanto nelle parole al primo mutare dell'umore e del corso degli eventi.
Di fatto, si prepara all'incontro con una donna di strada: Maddalena, sorella di Sparafucile, il sicario prezzolato da Rigoletto per fargli la festa.
Il senso della canzone non è dunque tanto nella sua prima esposizione, in forma completa e in due strofe, ma nei suoi due successivi ritorni.
Il primo ritorno avviene mentre il Duca sale le scale della casa di Sparafucile per andare a schiacciare un pisolino nel granaio, in attesa che Maddalena lo raggiunga.
Il brano viene solo canticchiato, rivelandosi realmente per quello che è, cioè una canzonetta, ossia quella che i musicologi definiscono musica di scena, che il Duca si diverte ad intonare.
I frammenti di melodia che il Duca omette qua e là sono intonati dal clarinetto, che in questo modo ci dà la chiave d'accesso al suo pensiero, dato che naturalmente il personaggio continua a pensare la melodia anche quando non la intona.
Ancora più interessante è l'ultima occorrenza, dopo che Sparafucile, su insistente richiesta di Maddalena, ha ucciso un viandante, di fatto la figlia di Rigoletto, in luogo del Duca.
Né questi né Rigoletto sanno nulla di quanto è accaduto.
Anzi, Rigoletto crede che il corpo che il sicario gli ha consegnato in un sacco sia questo del suo padrone e signore, e si appresta trionfante a gettarlo nel fiume Mincio.
È a questo punto che sente la vocina del Duca che, di lontano, intona la solita canzone.
Solo a questo punto "La donna è mobile" si rivela per quello che è: un capolavoro di ironia tragica, giacché solo il carattere triviale della musica le consente di stridere con tanta forza nel contesto drammaturgico.
Si noti che solo in quest'ultima occasione Verdi prescrive l'acuto finale ma piano, "perdendosi poco a poco in lontano", a rimarcare l'effetto della beffa.
Per quanto riguarda il testo della romanza, i versi di Francesco Maria Piave sono divisi in due strofe.
Ogni strofa si articola in due terzine formate da due quinari e un quinario doppio: un'irregolarità che costituisce un vezzo metrico sotto il quale si nasconde una più semplice struttura in quattro doppi quinari.

Testo

La donna è mobile
Qual piuma al vento,
Muta d'accento - e di pensiero.

Sempre un amabile,
Leggiadro viso,
In pianto o in riso, - è menzognero.

È sempre misero
Chi a lei s'affida,
Chi le confida - mal cauto il core!

Pur mai non sentesi
Felice appieno
Chi su quel seno - non liba amore!

La prima esposizione, in Si maggiore, è in tempo di Allegretto.
Il movimento ternario (in 3/8) è sottolineato dall'articolazione della terzina d'accompagnamento, il cui battere coincide col basso affidato agli archi gravi.
Tale basso, a conferma della scelta del compositore di utilizzare un registro stilistico popolare, non si muove dalla tonica Si per diciassette battute.
Benché l'orchestra includa anche la sezione degli archi, la scrittura è di tipo bandistico: la melodia del tenore, con le sue caratteristiche ricadute, è annunciata in modo pesante, a dispetto dall'indicazione di "pianissimo", da tutti i legni, oltre che da violini e violoncelli.
Il carattere popolaresco, quasi di stornello, è ribadito dalla semplice cadenza che chiude la strofa "con forza".
Segue una seconda strofa, identica alla prima tranne che per il testo, che in passato era frequentemente omessa nelle esecuzioni.
La seconda esposizione, mentre il Duca sale nel granaio, oltre che per gli interventi del clarinetto, differisce dalla prima per la condotta più legata, meno brillante della melodia.
D'altronde, come la didascalia specifica, il personaggio termina il suo canto "addormentandosi a poco a poco".
Gli impertinenti staccati iniziali, "La - don - na è..." e gli accenti aggiunti sul secondo movimento di battuta, a mo' di mazurca, "mo - bìl" ... "ven - tò", tornano invece nell'ultima esposizione, spezzata dal drammatico declamato di Rigoletto e conclusa sul Si acuto.
La presenza dell'acuto finale nelle precedenti esposizioni nasce da una tradizione che non tiene conto della volontà dell'autore.




Per chi volesse ascoltare il brano eseguito dal grande Enrico Caruso:
http://www.youtube.com/watch?v=aef9DGvZ8Qo

per chi volesse ascoltare la versione di Pavarotti:
http://www.youtube.com/watch?v=8A3zetSuYRg&feature=related

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